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Storie di compassione

Rispondendo a una domanda sulla compassione Osho ci delizia con racconti irresistibili... 

Un raro brano di Osho apparso su Osho Times n. 252

 

Osho

Domanda: Osho, è sbagliato provare a salvare qualcuno? Non fa parte della compassione?

Osho: La compassione è una questione molto delicata. Certamente ha a che fare con lo sforzo di salvare gli altri, ma ci sono molte condizioni che devono essere soddisfatte, prima. La prima condizione è che tu stesso  sia “salvato”; altrimenti, in luogo di salvare gli altri, li distruggerai, semplicemente. E nel tentativo di salvare gli altri, verrà meno l’opportunità di salvare te stesso. Solo una persona che è tornata a casa può essere di qualche aiuto a qualcun’altro. Un cieco non può aiutare altri ciechi… 

Devi avere gli occhi aperti; devi prima aver visto tu la luce, per poter dire agli altri di cosa si tratta. 

La compassione include certamente l’idea di salvare gli altri, ma non contro la loro volontà. Se una persona non vuole essere salvata, non devi costringerla; non è una cosa che può essere fatta sotto minaccia. Non sarebbe un vero salvataggio. Sarebbe solo una manifestazione di dominio sugli altri. 

 

 

A Raipur c’è un vecchio stagno, molto antico. Proprio a causa della sua antichità, si chiama budha talub, che significa appunto vecchio stagno, e si trova nella zona più antica di Raipur. Anche quell’area è chiamata budha padu, la zona più antica; budha significa “uomo vecchio”. E lo stagno è certamente molto bello nel suo essere antico; i suoi gradini di pietra sono ricoperti di un muschio denso. Andavo lì a sedermi, perché non ci va nessuno. Lo stagno era sporco; la spessa coltre di muschio galleggiava sull’acqua, che era diventata quasi verde. Non era pulito da anni, per questo nessuno ci andava. E poi ci sono altri stagni altrove, quindi non c’era bisogno di andare lì; quell’acqua non era più usata. Ma poiché era un luogo molto silenzioso, andavo lì ogni sera per sedermi e vedere il tramonto.

Un giorno, mentre ero seduto lì, un uomo cadde improvvisamente nello stagno e cominciò a gridare: “Aiuto! Aiuto!”. Non l’avevo visto arrivare e non sapevo come avesse fatto a scivolare. Avrebbe potuto accadere a chiunque, quei gradini ricoperti di muschio erano davvero scivolosi. Mi sono tuffato per aiutare quell’uomo e sono riuscito a tirarlo fuori, in qualche modo. 

Era molto arrabbiato. Mi ha detto: “Perché l’hai fatto?”, io gli ho risposto: “Che strano! Stavi chiedendo aiuto”. Lui ha replicato: “Sì, stavo chiedendo aiuto perché ero spaventato, ma in realtà volevo suicidarmi, e tu me l’hai impedito. Non avrei gridato se avessi avuto la minima idea che qualcun altro si trovasse qui, nessuno viene in questo posto, cosa ci fai qui?”. 

Ho detto: “Questo è strano, quando hai iniziato a gridare, ‘Aiuto! Aiuto!’ ho pensato che stessi annegando, mi sono bagnato inutilmente in questo stagno fangoso, e tu ora te la prendi con me”. 

Lui ha detto: “Sì, certo che sono arrabbiato, quell’urlo era solo paura, non volevo essere salvato”. 

Quindi sai cosa ho fatto? L’ho semplicemente ributtato dentro. Che altro fare? E lui ha ricominciato a gridare “Aiuto! Aiuto!”. 

E ho detto: “Questa volta non ho intenzione di aiutarti, ti ho già aiutato due volte: la prima, tirandoti fuori, la seconda, spingendoti di nuovo dentro. Ora, fai quello che vuoi”. 

Lui ha detto: “Che razza di uomo sei?”.

E stava affogando, andava su e giù, e piangendo diceva “Aiuto!”. A quel punto gli ho detto: “Non contro la tua volontà. E lui ha risposto: “Sto chiedendo AIUTO”, ma io sono rimasto semplicemente lì, seduto. 

Gli ho detto: “Provaci da solo”. 

Non era molto lontano dalla riva, perché l’avevo appena tirato fuori, era davvero vicino, quindi era chiaro che sarebbe stato in grado di farcela. E infatti ci riuscì. Aveva bevuto un po’ d’acqua, ma era riuscito a uscire e a quel punto disse: “Sei un uomo strano”. Io gli ho risposto: “Io sono un tipo strano? Tu sei un tipo strano! Prima ti ho salvato e tu ti sei arrabbiato, poi ti ho aiutato gettandoti di nuovo dentro e ti sei arrabbiato di nuovo, ma poi hai iniziato a chiedere aiuto”. Lui ha detto: “Sì, quando mi trovo nell’acqua ho paura della morte, ma in realtà voglio suicidarmi”.

Gli ho risposto: “Allora vieni in un altro momento, perché a quest’ora io sono sempre qui e se poi inizi a gridare ‘Aiuto!’ sarebbe molto strano da parte mia non aiutarti, ma allo stesso tempo non posso aiutarti contro la tua volontà”.

 

 

La compassione non può permetterti di fare del bene all’altro, se l’altro non è pronto. La compassione dà totale libertà, rispetto e dignità all’altra persona. Tutte quelle persone che provano a salvare gli altri sono solo un sottoprodotto del cristianesimo e dei suoi condizionamenti. Nel buddhismo non c’è posto per salvare nessuno. Il Buddha dice: “Posso mostrarti la via, ma dovrai camminare tu, non posso camminare per te, e se non vuoi camminare, chi sono io per costringerti a farlo? Al massimo potrò dirti che ho percorso quel sentiero e descriverti le bellezze che ho incontrato lungo la strada, ma non posso costringerti in alcun modo a fare altrettanto. Questa non sarebbe compassione, sarebbe crudeltà. Se tu sei contento di andare in un’altra direzione, hai la mia benedizione, anche se stai andando all’inferno, la mia benedizione sarà con te”. 

Mahavira ha assunto una posizione molto chiara rispetto a questo: “Nessuno è mai stato salvato da qualcun altro; salvare l’altro è impossibile a causa del significato intrinseco del gesto, perché se qualcuno è in grado di salvarti, significa che può anche non farlo, quindi la tua salvezza non è più nelle tue mani, diventa una concessione che arriva da qualcun altro.  Un po’ come accadrebbe con il denaro. Ricevi dei soldi da qualcuno, ma qualcun altro può rubarteli: non sei tu il vero padrone… Ma almeno la tua autorealizzazione, la tua illuminazione, deve essere qualcosa che ti appartiene, di cui nessuno può privarti”. 

È una logica semplice: se qualcuno può darti qualcosa, potrà anche privartene, questo è molto chiaro: se puoi essere costretto a illuminarti, allora potrai anche essere costretto a non essere illuminato”...

​Continua su Osho Times n. 252

Testi tratti da: Osho, From Personality to Individuality #20